L’ARCHIVIO STORICO dell’ARCIDIOCESI di NAPOLI

L’Archivio dell’Arcivescovado Napoletano ebbe la sua origine, secondo una scrittura del 1739 conservata nello stesso Archivio, nell’anno 1598.
A quell’anno la scrittura fa risalire un decreto della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari col quale si ordinava che «tutte le scritture, atti e processi dell’Arcivescovo vel Curia si riponessero e custodissero nelle stanze particolari a tal effetto destinate dall’Em.mo Arcivescovo Gesualdo, con due chiavi, una da tenersi dal Cancelliere della Curia e l’altra dal Vicario generale o da altra persona destinanda dall’Arcivescovo ».
Questa tarda origine di un’accurata e specifica conservazione delle carte può concorrere a spiegare il fatto che, come ricorda il Kehr, l’Archivio arcivescovile napoletano «privilegiis Romanorum pontificum et diplomatibus regum et imperatorum mediiaevi, immo chartis antiquis omnimo caret», cioè esso è mancante delle carte e privilegi del Pontefice, di diplomi regii, degli imperatori medievali e di carte molto antiche. Questo giudizio, tuttavia, è eccessivo, giacché di carte antiche, medievali, l’Archivio non manca del tutto, ma il giudizio è pur sempre esatto nell’insieme.
L’Archivio arcivescovile napoletano nacque come archivio corrente per le crescenti esigenze dell’amministrazione diocesana. E certamente non si va lontano dal vero supponendo che la crescita di tali esigenze fosse in diretta relazione con lo straordinario sviluppo urbano di Napoli nel secolo XVI. La diocesi napoletana comprendeva poco più del territorio della grande città, ma quest’ultima aveva visto almeno raddoppiarsi la propria popolazione, fra l’avvento di Ferdinando il Cattolico al trono napoletano nel 1503 e gli anni della fine del secolo, momento in cui il problema dell’Archivio diocesano venne a porsi con tanta urgenza.
Nei secoli successivi, il merito di aver ripreso e sistemato organicamente l’attività dell’Archivio tocca, nel XIX secolo, all’Arcivescovo Filippo Giudice Caracciolo.
Alla fine dell’800, la sollecitudine per l’Archivio era in evidente connessione con le vicende generali della società e della Chiesa. Nel caso specifico di Napoli non sarà rimasta senza influenza la fioritura degli studi eruditi e di storia patria che ebbe, nella fondazione e nella vita della Società Napoletana di Storia Patria la sua manifestazione più vistosa, e in Bartolommeo Capasso uno dei suoi numi tutelari.
In epoca contemporanea, nel 1958 una Commissione Diocesana per gli Archivi Ecclesiastici fece le prime organiche proposte per una ripresa dell’Archivio.

La Commissione poneva, innanzitutto, il problema della «scelta di un locale idoneo… alle esigenze dì buona conservazione, di possibilità di ordinamento, di aumento del materiale per successivi versamenti, di accessibilità per gli studiosi»; e lo indicava nel «piano superiore dell’ex seminario arcivescovile di Sant’Aspreno», sito nel complesso degli edifici adiacenti al Duomo. Si ponevano, inoltre, i problemi del lavoro generale di riordinamento del materiale e del personale idoneo alla bisogna. Per quanto riguardava, infine, i necessari finanziamenti, oltre ad un impegno della stessa Curia napoletana, si pensava ad un intervento dello Stato e ad aiuti di enti ed istituzioni locali. Le proposte così avanzate cominciavano a trovare accoglimento con la decisione di destinare ad archivio il pian terreno dell’ex Seminario vescovile e con ravvio di pratiche e di richieste presso i competenti uffici statali. Alla fine del 1959 permaneva il timore di un’invasione di termiti sia nelle travature che nelle scaffalature lignee dei vecchi locali. Venne allora stimato che la consistenza dell’Archivio fosse di 85.000 tra fasci e volumi e che per la loro sistemazione occorressero circa 5.500 metri lineari di scaffalatura e una diecina di armadi. Finalmente cominciarono i lavori nella nuova sede destinata all’Archivio e negli ultimi giorni di settembre del 1962 iniziò anche il trasferimento in essa del materiale così malamente raccolto nella vecchia sede. La Commissione diocesana aveva fatto presente già nel luglio precedente l’urgenza e i problemi del trasferimento.
Il 12 ottobre 1962 l’Archivio fu posto sotto la sovrintendenza del canonico Aldo Caserta, aiutato dal canonico Franco Strazzullo.
Sono stati direttori dell’Archivio, in questi ultimi anni, mons. Domenico Ambrasi, mons. Ugo Dovere, mons. Antonio Illibato, il prof. Gennaro Luongo e attualmente il prof. don Giuseppe Maglione.
Oggi l’Archivio apre regolarmente le sue porte agli studiosi anche in orario pomeridiano e sono iniziati i primi interventi di digitalizzazione dei Fondi con un progressivo riordinamento completo del suo patrimonio documentario.
Nei circa otto chilometri lineari di scaffalature attuali dell’Archivio, sono conservati numerosi Fondi documentari. I principali sono: i Processetti prematrimoniali (dal XVI sec. a oggi), gli Acta Civilia, gli Acta Criminalia, gli Atti del Santo Ufficio, i libri antichi (Battesimo, Matrimonio e Funerali) di molte Parrocchie della Diocesi, il Vicario delle Monache, gli Acta Apostolicae Sedis, le Visite Pastorali degli Arcivescovi, gli archivi dei singoli Arcivescovi dal XVI sec. a oggi, i versamenti di documenti di numerosissime Arciconfraternite e il Fondo Ebdomadari della Cattedrale.
Un altro importante Fondo in continuo accrescimento è la raccolta delle Cause dei Santi.
Di grande importanza storica è il patrimonio pergamenaceo che conta oltre 1400 pezzi con i Fondi principali di S. Maria Donnaregina, S. Maria Egiziaca e quello degli Ebdomadari.

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